lunedì 31 agosto 2015

ALESSANDRO MANZONI Panni in Arno 1.

                   Lemarancio propone brani de "I Promessi Sposi" e con essi ALESSANDRO MANZONI compare nel blog,dopo Platone e Aristotele.




           Di PLATONE ,Alfred North Whitehead ha affermato che ". ..Tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine alla produzione platonica..." 

                                  Carl Friedrich von Weizsacher poneva l'interrogativo seguente:" In che modo può essere platonica l'odierna scienza della natura?". 

                                  Werner Heisenberg era lettore del Timeo ed esaltava l'affermazione platonica "...in principio era la simmetria" .

                                  Erwin Schrodinger si richiamava,per la sua fisica e per la sua filosofia,a Platone.




                                Emmanuel Kant riteneva che non ci fosse niente da inventare(nella logica) dopo ARISTOTELE;

                                Karl von Plantl  famoso storico della Logica,affermo' che qualunque logico che dicesse qualcosa di nuovo,dopo Aristotele,a proposito della logica, era                                                  "confuso,stupido o perverso..."


                                De "I Promessi Sposi",Sciascia diceva:


" Ne 'I Promessi Sposi',troviamo il più esatto e disperato quadro dell'Italia com'era,com'è e come speriamo non sarà in avvenire.Non ho mai considerato il romanzo manzoniano un libro quieto:inquieto e inquietante sempre,a specchio della realtà italiana;e più in questi ultimi anni."




Anche per questa sola premessa si capisce che sarebbe bene leggere IL TESTO de "I Promessi Sposi",(citati, di seguito sempre con la sigla I P.S.),COME È STATO BENE PROPORRE POST ,IN LEMARANCIO, CHE PORTASSERO A LEGGERE  DIRETTAMENTE BRANI DI PLATONE E ARISTOTELE.





Nei post seguenti,dopo alcune precisazioni sulle redazioni manzoniane dell'opera e sulla loro pubblicazione, dopo una citazione dell'edizione critica più' importante del testo del Romanzo, proporremo un PRIMO ESEMPIO di come si debba leggere il testo per essere sicuri di averlo capito.




Ancora dopo proporremo passi di tutta l'opera,lasciando al lettore la risposta sulla loro comprensione.






venerdì 21 agosto 2015

Ipse scripsit 21. ARISTOTELE.Commento ad Analitici Secondi.

ARISTOTELE,ANALITICI SECONDI,LIBRO PRIMO,IL COSIDDETTO SILLOGISMO SCIENTIFICO.




                                          IL   N O U S, FACOLTÀ MEDIATA O IMMEDIATA?



Tra nous come facoltà immediata o come facoltà mediata, alcuni studiosi risolvono l'apparente discrepanza ritenendo che con la COMPRENSIONE IMMEDIATA dell'universale e dei principi, Aristotele si riferisca al momento didattico, quando cioè il maestro deve esporre ai discepoli, mentre al di fuori di essa la loro conoscenza non è affatto di natura intuitiva, ma si attua in un PROCEDIMENTO.



Sembra che sia invece più consono che la processualità del conoscere, porta fino ad un certo punto in cui il conoscere non è più procedurale, bensì immediato e, per così dire folgorativo.


E tale è il nous.




Solo in questo modo è possibile avvalorare  pienamente l'indagine su quel qualcosa di indistinto che è l'oggetto sensibile come cio'che è il più noto rispetto a noi, ma è il meno noto per sé, per raggiungere, grazie a un progressivo chiarimento, la comprensione di ciò che è il più noto per se', ma il meno noto quanto a noi ,scorgendo in questo la specificità dell'INDUZIONE.



Se il reperimento dei Principi, colti in un atto di intellezione noetica è frutto di una ricerca consistente nell'epagoghe', la loro organizzazione è invece affidata alla dialettica.



Aristotele cosi' dichiara in Top.,I,2,101a:"... ed inoltre la dialettica è utile per le asserzioni prime nell'ambito di ciascuna scienza. Infatti, a partire dai principi della scienza in questione è impossibile dire qualcosa intorno ad essi, che' i principi sono le prime di tutte quante le asserzioni, ed è necessario trattarne mediante le opinioni notevoli ,espresse intorno a ciascuno. Questo è specifico e massimamente proprio della dialettica. Infatti, essendo atta ad esaminare, dispone di una via di accesso ai principi di tutte quante le scienze."





In termini più semplici dell'edizione UTET,la problematica del nous è spiegata in Wikipedia,Aristotele,sez.Gnoseologia.  Però l'omaggio al testo trovato nella biblioteca Nelson Mandela volevo farlo lo stesso.







Ipse scripsit 20 ARISTOTELE. Commento ad Analitici Secondi.


                                ARISTOTELE,ANALITICI SECONDI,LIBRO PRIMO, capp.1 e 2,IL COSIDDETTO SILLOGISMO SCIENTIFICO.



Nel post precedente si era accennato al fatto che il NOUS ARISTOTELICO fosse interpretabile come una facoltà  immediata ,sia come facoltà che procede per gradi.



E due passi aristotelici sembrano attribuire al nous nature diverse:il primo passo afferma che esso è una facoltà immediata,il secondo che è una facoltà che procede per gradi.



Il primo passo si trova in Metaph.,IX,10,1051 b;in esso la natura aprocessuale dell'apprendimento noetico è attestata da verbi come TZIGGANEIN e TZIGHEIN che esprimono immediatezza,e da questa immediatezza Aristotele dice dell'impossibilità di errore circa gli oggetti colti dal nous.    Il che è proprio dell'intuire.



Leggiamo espressamente il passo:".... sbagliarsi circa l'essenza non è possibile se non per accidente; e così non è possibile sbagliarsi circa le sostanze non composte. E tutte sono in atto e non in potenza. Infatti, se così non fosse, si genererebbero e  si corromperebbero; invece ciò che è essere per sé, non si genera e non si corrompe, perché se si generasse dovrebbe generarsi da altro. Dunque, intorno a tutto ciò che è essenza e atto, non è possibile essere in errore ed è solo possibile pensare o non pensare."




Ma in un altro passo(Analitica Post.,II,cap.19)che è riportato integralmente con testo greco e traduzione,in LEMARANCIO IPSE SCRIPSIT ,NUMERI 9  e 10, Aristotele presenta il nous come risultato di una EPAGOGHE',che è un procedimento,ed esattamente il metodo,(vale a dire la via), con cui l'anima ascende dagli individuali all'universale.


Tale procedimento :

 1)INIZIA dalla sensazione(aistesis) nella quale è insito l'universale;

2)SI SVILUPPA quando ne fissa i ricordi(mnemai)cosi' da costruire l'esperienza(empeiria),che e' momento di unità del sensibile in quanto raggiunge quell'UNO INDIFFERENZIATO(en adiaforon) che è l'UNIVERSALE STESSO,(inteso come MEDESIMO presente in molti);

3)TERMINA  con l'enunciazione dell'universale,(ossia con la definizione di ciò di cui il FRUTTO DELLA SENSAZIONE rappresenta il singolo caso),in modo che il nous costituisca, cosi',il principio della scienza.




Vedremo nel post successivo(il conclusivo)come si possono conciliare le due posizioni,o se esse siano inconciliabili.





giovedì 20 agosto 2015

Ipse scripsit 19 ARISTOTELE.Commento ad Analitici Secondi

ARISTOTELE,ANALITICI SECONDI, LIBRO PRIMO,IL COSIDDETTO SILLOGISMO SCIENTIFICO.

(Nel post precedente,alla fine,si è accennato alla diversità tra Aristotele e Platone sul concetto di universale.).



Continua il commento sul nous aristotelico.



                 Il nous, in quanto conoscenza,ha dunque valore oggettivo, cogliendo ciò che effettivamente è nella struttura in cui è.


 
L'UNIVERSALE , infatti, non ha per Aristotele realtà separata, ma esiste soltanto negli individuali, dei quali rappresenta l'elemento comune, ossia il significato.




Sotto questo profilo il nous è abito(exis)del vero.



Sull'immediatezza della conoscenza noetica si apre un problema.


 Una lunga tradizione l'ha infatti intesa come se si trattasse di un atto puramente intuitivo e comunque tale da escludere ogni processualita'. 


Per un altro verso gli studi specialistici più recenti hanno insistito sul carattere di ricerca e di discorsivita'del nous, ricevendo in questo un decisivo contributo dalla rivalutazione del ruolo della DIALETTICA (inventata da Platone)nella filosofia aristotelica.



Forse su nessun altro terreno, che su questo dei Principi, analitica e dialettica, per un aspetto, scienza e filosofia, per un altro, trovano favorevole occasione per un confronto ed un reciproco chiarimento.




Continua nel post seguente.





Ipse scripsit 18 ARISTOTELE. Commento ad Analitici Secondi.

ARISTOTELE,ANALITICI SECONDI,LIBRO PRIMO. IL COSIDDETTO SILLOGISMO SCIENTIFICO.


Con il post precedente è iniziata la trattazione del NOUS,(che continua in questo post),premettendo che: nella logica aristotelica UPARKEIN vuol dire che c'è una frase e in essa un termine funge da predicato di un soggetto.




        In quanto conoscenza non mediata di un universale, il NOUS è conoscenza di un UPARKEIN, vale a dire del predicarsi di qualcosa  rispetto a qualcos'altro. Con ciò Aristotele dice che l'universale ,che il nous coglie ,è un PREDICATO e che la relativa conoscenza consiste propriamente ed essenzialmente in una frase.


Per questo ciò che il nous coglie può fungere da principio della dimostrazione e dunque della scienza, fornendo per l'appunto gli enunciati  primi che ne costituiscono le premesse; infatti per la dimostrazione ha importanza non il termine singolo, ma la mediazione dei termini, ossia il medio che congiunge gli estremi in rapporto PREDICABILE.



E l'universale,in quanto determinazione comune,connette(SUNAPTEI)gli estremi sillogistici.



L'universale aristotelico,infatti,non essendo un UNO FUORI DAI MOLTI,bensì un uno NEI MOLTI,è, di conseguenza,la cosa ad essi comune e dunque ciò che di essi si predica.



E' chiaro il motivo antiplatonico di tutto ciò.

 Per Platone l'idea era proprio quell'uno fuori dei molti,mentre Aristotele nel definire il nous quale principio della scienza,respinge come inadeguata l'affermazione platonica,in quanto non richiesta dalla dimostrazione.


In An.Post.1,11 Aristotele scrive:"...se si avrà dimostrazione non è necessario che esistano idee o una qualche unità oltre i molti;invece è necessario che sia vero dire un uno di molti:perché, se non si abbia questo,non si avra' l'universale;e se non si abbia l'universale,non si avrà il medio,di conseguenza neppure la dimostrazione.Pertanto nei "MOLTI" dovrà esserci qualcosa di UNICO e di identico,non di simile a un modello esterno...".



CONTINUA NEL POST SEGUENTE.




Ipse scripsit 17 ARISTOTELE. Commento ad Analitici Secondi


                    ARISTOTELE, ANALITICI SECONDI, IL COSIDDETTO SILLOGISMO SCIENTIFICO.


                                                           Il NOUS e l'induzione.(UTET.).



                                            CONTINUAZIONE DEL POST PRECEDENTE.




       La conoscenza dei principi e'espressa dal NOUS, termine che designa sia un certo contenuto di sapere che la corrispondente facoltà.



Va subito precisato che, quantunque ,per opportunità ,ci si possa riferire anche a questo secondo profilo, quello che interessa  DI PIU' PER COMPRENDERE IL SILLOGISMO SCIENTIFICO è però il primo e ad esso mira prospetticamente ogni rilievo formulato nei riguardi dell'altro.



Alla logica, infatti, il conoscere importa per l'aspetto oggettivo, non nella dimensione soggettiva, della quale si occupa la psicologia.



Ora, come i principi sono proposizioni anapodittiche,cosi' il nous è un "abito"(in greco EXIS) diverso dalla dimostrazione.



Dunque un abito conoscitivo distinto dalla stessa scienza:Aristotele ,nell'Etica,indica l'EPISTEME  e il NOUS,come exeis a se' stanti.



L'anima coglie il vero,mediante l'affermazione o la negazione; E CIO' AVVIENE OLTRE che con   episteme e nous,ANCHE con la TEKNE,la FRONESIS  e la SOFIA...( "Ebbene,le cose con le quali l'anima mediante l'affermare o il negare dice il vero,sono cinque di numero.Queste sono l'arte,la scienza,la saggezza,la sapienza e l'intelletto").



La scienza conosce l'appartenenza di un certo predicato a un certo soggetto, tramite un medio, mentre il Nous perviene senza alcuna mediazione alla conoscenza del Universale nei particolari,  o in ciascun genere di cose.



Questa prerogativa del nous di essere un sapere non mediato viene affermata da Aristotele con assoluta fermezza, escludendo anche due possibilità, da taluni avanzate, di comprenderlo pur sempre nella dimostrazione, ricorrendo o alla dimostrazione circolare, o alla dimostrazione che procede dal più noto per noi al più noto per sé.



Ma nessuna delle due è confacente al nous, giacche'con la prima si darebbe luogo ad un circolo vizioso e la seconda, pur ammessa da Aristotele, non ha però valore assoluto, in quanto non raggiunge il perché, ossia la causa, ma dimostra soltanto il che, ossia un fatto.




CONTINUA NEL POST SEGUENTE.





martedì 18 agosto 2015

Ipse scripsit 16 ARISTOTELE. Commento ad Analitici Secondi.

                         ARISTOTELE,ANALITICI SECONDI,IL SILLOGISMO SCIENTIFICO E I PRINCIPII DELLE SCIENZE.
                      Per aver contezza dell'importanza attuale di Aristotele ,nel campo della logica,cercare su YouTube:

                                      YOUTUBE,PIERGIORGIO ODIFREDDI,KURT GODEL,IL DIO DELLA LOGICA(aprile 2019).

Nel post precedente si era fatto accenno ai principi propri delle varie scienze,ora concludiamo il commento ai principi delle scienze,parlando dei principi comuni.




        I PRINCIPII COMUNI A TUTTE LE SCIENZE sono, invece, proposizioni il cui predicato si dice per sé di soggetti costituenti i generi di più scienze, come il principio SECONDO CUI,sottraendo uguali da uguali si ottengono uguali.



Esso enuncia una proprietà PER SE' della quantità ,che come tale si applica sia alla geometria( sottraendo angoli uguali da angoli uguali si ottengono angoli uguali)che all'aritmetica(sottraendo numeri uguali da numeri uguali si ottengono numeri uguali), perché sono scienze di specie di quantità.


Principi siffatti non soltanto entrano nelle dimostrazioni, ma queste si compiono grazie ad essi. Di per sé tali principi costituiscono sempre la premessa maggiore delle relative dimostrazioni, dal momento che il soggetto di questa premessa, ossia il termine medio, divenendo predicato,(nella minore), del soggetto della dimostrazione, e'necessariamente più universale di quest'ultimo, ovvero si estende ad un numero di determinazioni maggiore di quello che costituisce il genere proprio della specifica scienza.





A volte LA PREMESSA MAGGIORE DI UN PRINCIPIO GENERALE finisce per coincidere con un principio proprio DI UNA SCIENZA nel caso in cui, nella dimostrazione del perché, il termine medio costituisca la definizione dell'estremo minore, ossia quando il termine medio rientri nel genere di determinazioni cui è relativa la scienza.



Ma, molto probabilmente, devono considerarsi parte dei principi comuni anche i cosiddetti ASSIOMI, vale a dire quelle proposizioni generalissime che enunciano proprietà ,per sé ,di tutti gli esseri: il PRINCIPIO DI IDENTITÀ, di NON CONTRADDIZIONE, DEL TERZO ESCLUSO...



Essi non entrano come premesse nella dimostrazione, ma, per così dire, stabiliscono le condizioni di possibilità di ogni asserto.



Per concludere il discorso,cerchiamo di fare un riassunto della conoscenza dei principi,commentando, del cap.19 del secondo libro di An.Sec.,le righe 99b,20-34.
Aristotele fa una discussione dialettica del problema secondo il quale sono conosciuti i principi delle scienze e la conclude rapidamente con una asserzione della quale fornirà una conferma nelle parti successive del capitolo.




Egli parte da quello che considera essere un PUNTO ORMAI ACQUISITO, e precisamente che la conoscenza scientifica presuppone una conoscenza dei principi delle dimostrazioni e che tale conoscenza in definitiva non possa essere a sua volta ottenuta per dimostrazione, ma sia immediata.



Come viene tale conoscenza, se non ci viene per dimostrazione? Una prima risposta potrebbe essere che essa è presente in noi, ossia è innata. Aristotele respinge questa ipotesi dicendo che se avessimo una conoscenza  innata dei principi, dovremmo accettare che tale conoscenza non è consapevole. Ma una tale ipotesi è impossibile, ossia contraria all' esperienza :se interroghiamo un inesperto, ad esempio un bambino, costui non rivela di possedere i principi della scienza di cui si discute.



Dunque la conoscenza dei principi non è innata. La confutazione aristotelica dell' innatismo e' sicuramente un po' troppo frettolosa ,e alla sua obiezione  gli innatisti hanno saputo trovare varie risposte. Aristotele da'qui per scontata la insostenibilità della posizione innatista e si limita a richiamare un argomento contro di essa.




    Il riconoscimento che la conoscenza dei principi non è innata porta con sé un nuovo problema, legato ad una tesi che Aristotele ha esposto all'inizio del Trattato e precisamente la tesi secondo cui OGNI APPRENDIMENTO INTELLETTUALE PRESUPPONE UNA CONOSCENZA ;siccome la conoscenza dei principi, non essendo innata, è un caso particolare di apprendimento intellettuale, dobbiamo stabilire qual è la conoscenza preesistente che condiziona l'acquisizione dei principi.




Aristotele spiana la strada ad una risposta a questo problema osservando che la conoscenza preesistente in linea di principio non deve essere più precisa e migliore di quella di cui è condizione. Questo gli consente di stabilire che a monte della conoscenza dei princìpi c'e' NON UN ALTRO TIPO DI CONOSCENZA INTELLETTUALE, ma semplicemente la conoscenza percettiva.( E QUI È SCAVATO IL SOLCO TRA LUI E PLATONE.)




Siamo pronti per trattare nel post seguente,il NOUS aristotelico.



Continua....






lunedì 17 agosto 2015

Ipse scripsit 15.ARISTOTELE.Commento ad Analitici Secondi.

                  ARISTOTELE,ANALITICI SECONDI: IL COSIDDETTO SILLOGISMO SCIENTIFICO.




Si è detto nel post precedente che il sillogismo dimostrativo ha ben poco da dire nella fase della costruzione delle scienze,in quanto NON ha valore euristico.



L'effettiva costruzione della scienza si realizza invece in un altro momento del conoscere, tanto imprescindibile ed essenziale per l'istituirsi della scienza quanto di per sé, (in senso  stretto)ESTRANEO ad essa. 



Ci si riferisce all'attività NOETICA che costitutivamente l'accompagna.



Ad essa è dovuta la conoscenza dei principi delle dimostrazioni, ossia delle loro premesse, dal momento che queste, come abbiamo visto, sono causa della conclusione e tutte le cause sono PRINCIPII(arkai).



Nella misura in cui la scienza ha bisogno di questa conoscenza, dalla quale pur si distingue in modo strutturale, e per altro verso, nella misura in cui questa conoscenza stessa interviene(COME MOMENTO INVENTIVO DELLE PREMESSE) nel sapere  epistematico , non è errato dire che la scienza per Aristotele è anche costruttiva; ma, per l'appunto, in quanto DIMOSTRAZIONE, in quanto attività conoscitiva che nel suo procedere muove da una effettiva ricerca. 



Ma che la conoscenza dei principi corrisponda ad una ricerca, che, cioè, nel suo costitutivo differenziarsi dalla scienza in quanto mediazione, non si realizzi però in una semplice visione di tipo intuitivo, ma comporti ed esiga un procedimento di ordine DISCORSIVO ,e' UN'AFFERMAZIONE che va chiarita.


Al fine di inquadrare adeguatamente il problema è opportuno distinguere metodologicamente tre concetti, anche se essi si danno in una solidale unità.

 In effetti, altro sono i PRINCIPII, altro la CONOSCENZAdei principi, altro la via, il METODO , che vi conduce.


Quanto ai primi ,già si è detto che sono proposizioni anapodittiche e che in questa loro prerogativa sono indispensabili per il costituirsi delle stesse dimostrazioni, in modo tale che, se non si dessero proposizioni cosiffatte, ma tutto ciò che si conosce dovesse essere dimostrato, finirebbe per non potersi più neppure costruire il sapere.



Aristotele distingue i principi propri di ciascuna scienza e i principi comuni.

 Quelli propri sono proposizioni prime ed indimostrabili il cui predicato conviene per sé al solo genere di determinazioni studiate da una data scienza, ossia al suo"ghenos keimenon"; proposizioni che costituiscono la premessa minore nelle relative dimostrazioni in quanto pongono il soggetto intorno al quale quella data scienza fa le sue enunciazioni. 


Per questo le scienze non possono prescindere da siffatti principi.


 Il che comporta che le scienze stesse non si dispongano in forma di articolazioni specifiche di un medesimo ed unico genere di sapere e che  il loro distinguersi non corrisponda affatto ad un derivare le une dalle altre, ne'-guardando la cosa dal punto di vista dei principi- che essi possano essere dedotti da una scienza superiore e più universale,( fatta eccezione per il caso  delle matematiche applicate), ossia che non esista un sapere universalissimo nel quale trovino giustificazione per via deduttiva i principi di tutte le scienze.



Principi propri di una scienza sono sia le DEFINIZIONI ( orismoi), che le IPOTESI( upotheseis).



Le prime sono discorsi che dicono che cos'è una cosa, ossia la sua essenza, e per questo sono convertibili con il definito. Già implicitamente è emerso che nelle dimostrazioni del perché, che costituiscono il tipo più perfetto di dimostrazione e nelle quali si ricerca la causa dell'esser tale del soggetto, il termine medio è sempre costituito dalla definizione o dell'estremo maggiore o di quello minore.



E poiché il medio è principio della dimostrazione come procedimento proprio della scienza,è chiaro pertanto che le definizioni sono principi di quest'ultima, e principi propri di essa.



Le ipotesi sono invece asserti che enunciano che una cosa è o non è, che assumono, insomma ,l'esistenza o la non esistenza di qualcosa o di un certo nesso tra soggetto e predicato, come per esempio l'assunzione, nell'ambito della aritmetica, che esistono delle unità.




CONTINUA NEL POST SUCCESSIVO.





domenica 16 agosto 2015

Ipse scripsit 14 ARISTOTELE. Commento ad Analitici Secondi.

                                   IL   SILLOGISMO SCIENTIFICO  IN  ANALITICI   SECONDI.



                                    I Principi della scienza( continuazione del post precedente):



                                                               1)Le premesse. 2)Il Nous.



1)Le premesse come principi delle dimostrazioni.


        La scienza o EPISTEME ( che si struttura in rapporto all'insegnamento) ha pertanto, una esigenza didattica, esige cioè di per sé che il sapere sia presentato in un ordinamento sistematico ed organico, come è proprio della situazione del maestro che deve far apprendere la materia agli allievi.


La sistematicità e l'organicita' dell'impianto diventano infatti  CONDIZIONI INDISPENSABILI per una corretta trasmissione della disciplina, nella misura in cui rendono più facile la comprensione dei suoi contenuti.


Il procedimento dimostrativo e, in generale, l'analitica- in quanto chiarimento delle strutture formali del ragionamento deduttivo, del quale la dimostrazione costituisce, come abbiamo visto un particolare tipo- assolvono pienamente questo compito di conferire sistematicità ed organicità al sapere della scienza, in un ideale riferimento alla sua esposizione.



Che proprio ed esattamente in questa chiave sia stato pensato da Aristotele il suddetto procedimento, risulta tematicamente attestato dalla qualificazione di "DIDASCALICI"  che il filosofo attribuisce ai SILLOGISMI DIMOSTRATIVI,  nel quadro della presentazione dei tipi di ragionamento.



Lo testimonia, inoltre la denominazione di 'AITEMATA', cioè di postulati, da lui data ad un altro genere di premesse, le quali a differenza dei PRINCIPI (ARKAI) veri e propri, non sono in sé evidenti e dunque necessarie. 


Esse sono così chiamate perché corrispondono alle richieste che il maestro fa ai discepoli di concedere delle proposizioni, per poter procedere nella dimostrazione. 


Ma proprio per  questo, in tale configurazione, la scienza è pensata come sapere già costituito, al quale si tratta di dare una fisionomia adeguata sul piano della presentazione e della sistemazione, ma non nella fase del suo fondarsi e del suo crearsi con la ricerca che fa lo scienziato..




In rapporto ad essa il sillogismo dimostrativo ha ben poco da dire, in quanto non ha valore euristico, come hanno messo in chiaro gli studiosi. Sotto questo profilo, il giudizio di Bacone che il sillogismo è infecondo, in quanto non fa aumentare il sapere( in Novum Organon), può servire in qualche modo a chiarire .



All'idea di  INFECONDITÀ' consegue nella valutazione baconiana quella dell'inutilità del sillogismo in ordine al fare scienza, cosicché tutta la nostra speranza e' l'induzione vera, mentre per Aristotele il  dar logica sistemazione agli enunciati scientifici sulla base dei sillogismi dimostrativi, corrisponde a garantirne l'universalità e la necessità, un atto che è certamente distinto da quello del ritrovarli, ma non per questo è inutile.



Del resto la critica baconiana del sillogismo non è una critica del procedimento logico in quanto tale, bensì una critica delle sue premesse, assunte a suo avviso mediante una generalizzazione che salta i gradi intermedi e, dal SENSO e dai PARTICOLARI, vola subito agli ASSIOMI generalissimi, giudicando poi secondo questi principi, già fissati nella loro immutabile verità e ricavandone gli assiomi medi;mentre la via corretta  dovrebbe trarre dal senso e dai particolari gli assiomi, salendo senza interruzione e per gradi così da arrivare in ultimo agli assiomi generalissimi.




CONTINUA NEL POST SEGUENTE.





Ipse scripsit 13 ARISTOTELE. Commento ad Analitici Secondi

                       ARISTOTELE    COMMENTO   AL COSIDDETTO    SILLOGISMO    SCIENTIFICO.


Continuazione post precedente.


     La prima delle note sopraddette (che cioe' si dia una PROPOSIZIONE VERA) e'richiesta dal valore obiettivo che deve connotare  le conoscenze dimostrative,cioè dal fatto che le conclusioni delle relative dimostrazioni sono chiamate ad enunciare uno stato di cose reale, e questo non è deducibile da ciò che non è.



La necessità poi che siano proposizioni PRIME, ossia non dedotte ne' deducibili da altre, ed IMMEDIATE, ossia tali che ad esse non sia anteriore nessuna proposizione, si giustifica col fatto che altrimenti neppure si darebbe il sapere, innescando un processo all'infinito destinato a distruggerlo.



Aristotele, in An.Post.,libro Primo,cap2,72a,26-29, fornisce di questo fatto una prova per assurdo,dicendo:" il sillogismo deve procedere da cose prime anapodittiche, poiché altrimenti non le si conoscerà, non avendone una dimostrazione. 


Infatti il conoscere in modo accidentale ciò di cui vi è dimostrazione, consiste nell'avere dimostrazione".



Il senso di questa difficile argomentazione è (forse) chiarito da Colli,nell'edizione Laterza 1973,dicendo" ... per provare che i principi sono indimostrabili, Aristotele fa l'ipotesi che essi siano dimostrabili. Ma si era posto come premessa iniziale che il sapere equivalesse al possedere la dimostrazione: il possedere la dimostrazione poi consiste nel dedurre una proposizione da un principio, conoscendo nel contempo tale principio intuitivamente. In tal caso il possedere la dimostrazione, se implica la conoscenza intuitiva del principio, non sarà il possedere la dimostrazione del principio. E allora il sapere non sarà il possedere la dimostrazione del principio. Ma si è detto che il sapere è il possedere la dimostrazione, evidentemente, di ciò che è dimostrabile, e d'altra parte, si è supposto che il principio sia dimostrabile: dunque, il sapere non sarà il sapere.Cio' è assurdo,quindi è vero il contrario di quello da cui si è partiti".



Peraltro l'esigenza che le dimostrazioni di ogni scienza procedano, oltre che da principi comuni,da principi propri di ciascuna, ha come immediata conseguenza l'impossibilità TANTO che i principi di una scienza possano essere giustificati da un'altra, giacché ciò comporterebbe quel passaggio nelle dimostrazioni da un genere all'altro che è invece rigorosamente vietato da Aristotele, QUANTO  che sussista una scienza universale da cui si deducono i principi propri di tutte le altre scienze.



I due caratteri successivi, ossia l'essere le premesse PIÙ NOTE E ANTERIORI  della conclusione, dipendono dichiaratamente dall'ultimo, cioè dall' essere CAUSE della conclusione stessa.



Conviene sottolineare come la relativa prova sia interamente costruita sulla natura conoscitiva della conclusione. Poiché questa, che deriva dalle premesse, ha valore conoscitivo, dal momento che la dimostrazione è una Mathesis , e non si conosce se non si sa la causa, le premesse devono essere causa della conclusione.


 Ciò posto, anche i caratteri sopraddetti sono provati, di conseguenza. Che', quel che è causa di qualcosa deve essere più noto di quest'ultimo e anteriore ad esso, e saranno, pertanto, le PREMESSE.

Aristotele chiarisce ulteriormente l'istanza facendo presente che anteriore e più noto sono determinazioni che si dicono in due sensi: o per natura o rispetto a noi, verificando quest'ultima condizione le cose individuali, giacché sono maggiormente vicine alla sensazione, mentre la prima condizione è verificata dalle cose maggiormente universali, che sono le più distanti dal sensibile.



È chiaro che le premesse dimostrative, nella misura in cui sono universali, sono anteriori e più note per natura.



Dall'essere, poi, le premesse, causa della conclusione, deriva la necessità che i principi delle dimostrazioni siano principi propri(arkai oikeiai) del dimostrato e che le determinazioni sulle quali esse si costruiscono, appartengano tutte alla medesima colonna(en the aute' suggheneia).




CONTINUA NEL POST SEGUENTE.





Ipse scripsit 12 ARISTOTELE.Commento ad An.Sec.,libro.I,capp. 1 e 2.

Prosecuzione post precedente. 


                                         IL  SILLOGISMO SCIENTIFICO.

    Ma quel che nella DIMOSTRAZIONE è necessario NON È  il semplice conseguire del conseguente, (una volta posto l'antecedente),bensì il conseguente in se stesso, ossia quella data conseguenza, poste quelle premesse.



In questo preciso significato esse ne sono causa e per questo la necessità del procedimento dimostrativo è la necessità di una CAUSAZIONE  non di una semplice consecuzione.



Le premesse, poi, esprimono maggiormente la dimensione della causa quanto maggiormente enunciano l'universale, stante che questo è causa.



Va altresì fatto presente che TUTTE E QUATTRO LE SPECIE DI CAUSE  indicate in Metafisica, 1,3-la causa formale,quella materiale,la finale e la efficiente- possono costituire il medio sillogistico della dimostrazione.



Benché infatti nella maggioranza dei casi questo esprima la causa formale, non vi sono difficoltà concettuali a che esso sia costituito dalla causa finale ed efficiente ed anche la causa materiale può esservi assunta.

 Tale causa, infatti, (esprimendo la conditio sine qua non di qualcosa), in rapporto alla dimostrazione corrisponde alla semplice enunciazione del fatto che il predicato si dice del soggetto, e per questo entra nelle dimostrazioni "del che"(oti), delle quali si servono le scienze empiriche in quanto scienze esse stesse del"che"(An.Post.,II,8,93a).



Quanto detto comporta di orientare l'attenzione sul tipo di premesse richieste nel procedimento dimostrativo.

 La sua specificità nel genere del sillogismo è infatti definita dalle premesse, alle quali è dunque affidata la peculiarità del tipo di sapere espresso dalla dimostrazione.



Segnando la differenza tra questa e il sillogismo dialettico, Aristotele dichiara che le premesse della dimostrazione sono o l'uno o l'altro membro della antifasi, venendo così a stabilire in modo determinato come vero un corno dell'alternativa, laddove le premesse del sillogismo dialettico assumono indifferentemente una qualsiasi delle due parti suddette. 


Questa caratteristica consente alle premesse del procedimento ora in oggetto di essere proposizioni:
        
          VERE,   PRIME, IMMEDIATE, PIÙ NOTE,  ANTERIORI e CAUSE DELLA CONCLUSIONE.




Continua nel post seguente.




sabato 15 agosto 2015

Ipse scripsit 11.ARISTOTELE.Commento utet su Analitici Secondi.

                                Confrontiamo le parole di Aristotele(riportate fino a questo punto),con quelle dei suoi commentatori.




E' già' stato fatto, in Lemarancio, per gli ANALITICI PRIMI( il sillogismo in generale),ora è la volta degli ANALITICI SECONDI,(per il sillogismo scientifico).



                                   Dal confronto ,verrà ancora fuori che si apprende sempre di piu' dalla lettura diretta dell'autore.

                    (Stessa cosa verificata in Lemarancio per Platone,di cui sono stati proposti passi di Repubblica,Timeo,Crizia).



RESTA IL DATO DI FATTOche ,anche per chi sa tradurre dal greco,la comprensione del pensiero dei due filosofi è cosa perlomeno ardua. Ammettiamolo e inchiniamoci al loro genio .




                                           A N A L I T I C I      S E C O N D I   U N     C O M M E N T O   I N   G E N E R A L E.


                  Il tipo di sapere.



Quanto al tipo di sapere, la EPISTEME e', innanzitutto, conoscenza della causa; in secondo luogo è conoscenza della relazione necessaria tra la causa e il causato, vale a dire conoscenza della necessità della conclusione nel ragionamento che la inferisce.



Tale ragionamento è la DIMOSTRAZIONE. Essa costituisce perciò il procedimento conoscitivo proprio della scienza.



Ciò di cui la episteme è conoscenza della causa, Aristotele chiama CONCLUSIONE.


Poiché questa è causata non da sé, ma da altro, la relativa conoscenza consisterà in un procedimento, ossia in una mediazione, non in un conoscere immediato.


Il ragionamento o sillogismo corrisponde, per l'appunto, ad un siffatto conoscere procedurale e mediato, e un intero trattato dell'Organon,gli Analitici Primi, è espressamente dedicato a determinarne la struttura e le regole. 

Esso perciò precede idealmente lo studio della dimostrazione, che è un particolare tipo di sillogismo, anche se dal punto di vista cronologico oggigiorno è quasi unanimemente ammesso dagli interpreti che gli Analitici Primi siano stati scritti da Aristotele successivamente agli analitici secondi, il cui argomento specifico è la dimostrazione o sillogismo scientifico: probabilmente per precisare e rendere appositamente chiare le strutture generali del modo di conoscere che la scienza assume come suo metodo proprio a certe particolari condizioni.




In quanto la conclusione è necessaria, lo stesso processo di causazione sarà a sua volta necessario, ossia la causa deve necessariamente far scaturire la conclusione.

 Questo si verifica se, posta la causa per il fatto stesso di essere posta, non può che derivare la conclusione. 



Aristotele precisa che la causa della conclusione sono le premesse o proposizioni.


 Sul piano della struttura procedurale esse costituiscono l'antecedente, rispetto al quale la conclusione rappresenta il conseguente.


 Per cui, considerando la struttura formale del ragionamento, il solo fatto di porre l'antecedente comporta che si dia il conseguente. 


Da qui la definizione di sillogismo(che vale come condizione generale anche per la dimostrazione):

" sillogismo è il discorso nel quale, poste alcune cose, segue di necessità qualcos'altro da ciò che è posto ,per il fatto di sussistere queste cose,"


        con ulteriore precisazione che:

" dico ' per il fatto di sussistere queste cose  ' il derivare in forza di esse, e dico 'derivare in forza di esse  ' il non aver bisogno, in più ,di nessun termine esterno per il darsi di ciò che è necessario."




CONTINUA.




venerdì 14 agosto 2015

Ipse scripsit 10 ARISTOTELE ,An.Post,l.II,cap.19

                                                    Continuazione ,dal post precedente ,di traduzione e testo di An.Post.l.II,cap 19.



                                                                                       Dalla riga 100a,3,fino  100b,17.(fine).



  ......Dalla percezione si produce dunque la MEMORIA, come siamo soliti chiamarla, e dalla memoria della stessa cosa (che spesso si produce,), l'ESPERIENZA.


 Infatti le memorie, molte di numero, costituiscono una sola esperienza. Dall'ESPERIENZA o dall'UNIVERSALE che riposa ( Platone nel Fedro,96 b,lo definisce" eremesantos")  tutto nell'anima, dall'uno oltre i molti, (ciò che di uno e identico è presente in tutti quelli,) si produce il principio dell'abilità tecnica e della conoscenza scientifica, e, precisamente 1) dell'abilità tecnica quando ESSO abbia a che fare con la produzione, 2)della conoscenza scientifica invece quando ESSO abbia a che fare con quel che è. 



Dunque gli stati non ineriscono in noi in una forma determinata, ne'si producono da altri stati più conoscitivi, ma si producono dalla percezione, così come in una battaglia, verificatasi una rotta, se solo un soldato si ferma,un altro si ferma pure e un altro ancora, finché non si arrivi alla prima fila. L'anima è tale da avere la capacità di subire questo.




Cio' che si è appena detto non è stato detto chiaramente e dobbiamo dirlo di nuovo. Se uno degli indifferenziati si ferma c'è per  la prima volta  un universale nell'anima(e' percepito infatti il singolare, ma la percezione è dell'Universale; per esempio essa è dell'uomo e non di Callia che è un uomo).




Ancora, qualcosa si ferma tra questi finché si fermano le cose senza parti e gli universali, come per esempio si ferma tale animale finché si ferma animale, e allo stesso modo per animale. È chiaro allora che per noi è necessario conoscere le cose prime con l'induzione; infatti è proprio così che la percezione introduce in noi l'universale.



Siccome degli stati intellettuali con i quali siamo nel vero, alcuni sono sempre veri, e altri ammettono il falso, come per esempio l'opinione e il calcolo, mentre la conoscenza scientifica e l'intellezione sono sempre veri, e siccome nessun altro genere all'infuori dell' intellezione  e'più preciso della conoscenza scientifica e, d'altra parte, i principi sono più noti delle dimostrazioni e ogni conoscenza scientifica è accompagnata dal ragionamento, non può esserci conoscenza scientifica dei principi, e poiche'non ci può essere nulla di più vero della conoscenza scientifica se non l'intellezione,l'intellezione deve avere per oggetto i principi.



 Ciò risulta da queste indagini ed anche perché principio della dimostrazione  non e'la dimostrazione; e quindi la conoscenza scientifica non è principio della conoscenza scientifica. Se allora non abbiamo alcun  altro genere vero oltre alla conoscenza scientifica, l'intellezione deve essere principio della conoscenza scientifica. E l'una può essere considerata il principio del principio mentre l'altra nel suo complesso sarà nella stessa relazione col suo oggetto nel suo complesso.





Nota al testo.Il capitolo 19 tradotto in questo e nel post precedente,dovrebbe aiutare più dei commenti,la comprensione dei capp.1 e 2 del primo libro di Analitici Secondi.Speriamo. 


A seguire verranno proposti commenti generali  sulla totalità di Analitici Secondi.


TESTO GRECO:




Ipse scripsit 9 ARISTOTELE An.Sec.,l.II,cap.19

Il senso di Analitici Secondi,libro I,capp.1 e 2, abbiamo visto esser molto arduo da capire...



Tento di chiarire un po',utilizzando LE STESSE PAROLE DI ARISTOTELE,scritte da lui in un altro luogo di Analitici Secondo,e PRECISAMENTE  in An.Sec., LIBRO SECONDO,cap.19.



                                                   PROCEDIAMO, DUNQUE, A CHIARIRE UN PASSO DI ARISTOTELE CON ARISTOTELE STESSO.

                                                                                          Di seguito abbiamo traduzione  e testo greco.



Traduzione.


     A proposito del sillogismo e della dimostrazione e' manifesto che cosa ciascuno di essi sia e come si produca e ciò vale allo stesso tempo per la conoscenza scientifica per dimostrazione; infatti sono la stessa cosa. 



Riguardo ai principi invece, e cioè come divengano noti e quale sia lo stato che ne acquisisce conoscenza, sarà chiaro da quel che segue a coloro che hanno prima discusso la seguente difficoltà.



 Si è detto prima che non si può avere conoscenza scientifica per dimostrazione se non si conoscono i primi principi immediati. 


A proposito della conoscenza dei principi immediati uno potrebbe domandarsi se essa sia o non sia la stessa, cioè se ci sia conoscenza scientifica in ciascun caso o no, oppure se ci sia conoscenza scientifica in un caso e un altro genere di conoscenza nell'altro, e inoltre se gli stati non siano presenti(INNATI) in noi ma si producano, oppure siano presenti ma noi non ce ne accorgiamo. 



Ebbene, se ne abbiamo il possesso, è assurdo.


 Succederebbe infatti che non ci accorgeremmo di avere conoscenze che sono più precise della dimostrazione. 


D'altra parte, se ce ne impadroniamo senza averli prima, come potremmo acquisire conoscenza e apprendere senza una conoscenza preesistente? 



In effetti ciò è impossibile, come dicevamo a proposito della dimostrazione. 


E' quindi manifesto che non è possibile né possederli né che si producano in noi se siamo ignoranti e non abbiamo alcuno stato.


 Dunque è necessario avere una qualche capacità, ma non averne una tale che sia di maggior valore quanto a precisione.


 Questa capacità manifestamente appartiene a tutti gli animali. 


                                                                                   Infatti l'animale ha una CONNATURATA
                                                             CAPACITÀ DISCRIMINATIVA, che chiamiamo PERCEZIONE.



. Essendo presente la percezione, in alcuni animali si produce una permanenza del percepito e in altri non si produce. 


In quelli in cui non si produce, o mai o nei casi in cui non si produce, non c'è altra conoscenza all'infuori del percepire.


 Altri invece, dopo aver percepito, possono possedere ancora il percepito nell'anima. 


Producendosi molti episodi siffatti si produce già una qualche differenza, di modo che in alcuni animali si produce una concettualizzazione a partire dalla permanenza di tali cose, mentre in altri no.




       Continua...






mercoledì 12 agosto 2015

Ipse scripsit 8 ARISTOTELE Sommario An.Sec.,l.I,cap 2

Nel post 5 di Ipse scripsit ,mentre trascrivevo un passo del capitolo secondo,con testo greco in calce,mi chiedevo se il SOMMARIO presente nella edizione UTET dell'Organon,Analitici Secondi,libro primo cap.2,ci sarebbe stato d'aiuto per capire le righe 13,14,15 del testo greco. 

Lo trascrivo e speriamo bene.


          Cap 2 SOMMARIO.


Si determina la nozione di scienza caratterizzandone il tipo di sapere e l'oggetto. 



Quest'ultimo è la realtà che non può essere diversamente da ciò che è.

 Quanto al tipo di sapere, la scienza e'innanzitutto, conoscenza della causa; in secondo luogo è conoscenza della relazione tra la causa e l'effetto; in terzo luogo, conoscenza della necessità della conclusione.



In quanto conoscenza causale è conoscenza del medio della dimostrazione.


 La dimostrazione è un sillogismo scientifico, e questo viene qui definito come quel sillogismo il cui possesso garantisce, per l'appunto, l'acquisizione della scienza.

 Tale sillogismo, e dunque la conoscenza scientifica, procedono da premesse che sono:1) VERE, ossia corrispondenti a ciò che è( dal momento che non si può conoscere quel che non è);2) PRIME ED IMMEDIATE, ossia indimostrabili( perché, se fossero dimostrabili, non potrebbero conoscersi che in seguito a dimostrazione;ma  sono conosciute senza dimostrazione;dunque sono indimostrabili); 3)ANTERIORI E PIÙ NOTE della conclusione(intendendosi con queste prerogative che esse fanno conoscere non soltanto il significato del termine,ma anche l'esistenza della cosa);4)CAUSA  di essa(giacché fanno conoscere la conclusione,nel suo significato e nella sua esistenza,e di una cosa non si ha conoscenza se non attraverso la causa).



Soffermandosi, in particolare, sul senso di anteriore è più noto, Aristotele pone in chiaro che tali sono per natura e in senso assoluto le cose che più sono distanti dai sensi, mentre per noi sono quelle che maggiormente cadono sotto i sensi.



Ancora: le premesse della scienza, in quanto proposizioni prime e immediate sono PRINCIPI, e si tratta di principi propri rispetto a ciascuna scienza.



Lo Stagirita quindi fa seguire una serie di definizioni intese a precisare la valenza dei termini che sono già entrati o che entreranno a caratterizzare il sapere della scienza. 



La PROPOSIZIONE è una parte dell'enunciazione e si ha quando un solo predicato viene attribuito ad un solo soggetto;

 l'ENUNCIAZIONE è una delle due parti della contraddizione(e cioè l'affermazione o la negazione), la quale costituisce un 'opposizione.

La proposizione è DIALETTICA se assume indifferentemente l'una o l'altra parte dell'enunciazione;

APODITTICA se ne assume una determinata in quanto vera.

Inoltre il principio del sillogismo è una TESI se, oltre che essere indimostrabile, non è indispensabile per l'apprendimento di qualcosa;

 è invece un ASSIOMA se è indispensabile.

La tesi che istituisce il significato di un termine è una DEFINIZIONE, 

quella che stabilisce l'esistenza di qualcosa è un'IPOTESI.



Aristotele fornisce quindi due dimostrazioni dell'istanza che le premesse del sillogismo scientifico devono essere anteriori e più note della conclusione: innanzitutto perché è grazie ad esse che questa è nota, e ciò in forza di cui qualcosa è noto,e'noto in misura maggiore di quel qualcosa.



In secondo luogo perché, se le premesse sono note, ma d'altro canto, quando sono conosciute, la conclusione non lo è ancora, ne consegue che, se non fossero maggiormente note di questa, si avrebbe l'assurdo che ciò che non si conosce è maggiormente o ugualmente noto di ciò che si conosce.

 
Infine Aristotele precisa che non basta, per avere scienza, conoscere i principi ma è necessario conoscere altresi'gli OPPOSTI dei principi ,dai quali procede il sillogismo che conduce ,con la sua conclusione, all'errore contrario.




Magistrale questo riassunto,che mi ha spiegato benissimo le parole di Aristotele...Resta il sassolino del "salto di spiegazione "delle righe 13,14,15 del testo in greco.



Provo a dirne una io:tra chi ha conoscenza scientifica e chi no ,la differenza è che il primo la può spiegare al secondo;ma la può spiegare perché il secondo,anche lui,possiede i principi che ha il primo,il quale se no non la potrebbe spiegare(dimostrare )a nessuno o non a tutti.   

Che ingenuo che sono;ma se non sono nella verità, almeno non smetto di cercarla.




martedì 11 agosto 2015

Ipse scripsit 7 ARISTOTELE Analitici Sec.l.I,cap.2

Analitici Secondi,libro primo,cap.2,72a 15-40;72b 1-4.


TESTO ITALIANO.


Di un principio immediato del sillogismo chiamo TESI quella che non è possibile dimostrare né è necessario che possieda chi impara qualcosa; chiamo invece ASSIOMA  quello che è necessario che possieda chi imparerà qualunque cosa. 

Infatti alcune cose sono di questo tipo: perché nei casi di questo genere siamo  soliti pronunciare questo nome.



Di una tesi, quella che assume una qualsiasi delle due parti della contraddizione- dico, per esempio, l'esistere qualcosa o il non esistere qualcosa-è un'ipotesi; quella che manca di questo è una definizione. 

Perché la definizione è una tesi: infatti lo studioso di aritmetica pone che Monade è l'essere indivisibile secondo la quantità; ma non è un'ipotesi:infatti"che cos'è la monade" e "che esiste la monade"non sono la stessa cosa.




Poiché si deve credere e sapere la cosa col possedere un sillogismo di tal sorta ,che chiamiamo DIMOSTRAZIONE, e questo sussiste per il fatto che sussistono quelle cose dalle quali procede il sillogismo, è necessario non soltanto conoscere previamente le cose prime,-o tutte o alcune- ma anche conoscerle in misura maggiore della conclusione: sempre infatti ciò in forza di cui ciascuna cosa sussiste, sussiste in misura maggiore di quella cosa: per esempio, cio' in forza di cui amiamo è maggiormente amabile.




Di conseguenza, se sappiamo e crediamo in forza delle cose prime, conosciamo e crediamo maggiormente anche quelle cose che ne dipendono, poiché in forza di esse si sanno anche le posteriori. 


Ma, tra le cose che si sanno, non è possibile credere maggiormente quelle che ne' ci si trova a conoscere,né nei nei loro riguardi ci si trova ad essere meglio disposti che se per caso le si conoscesse. 



Questo avverrà se qualcuno di coloro che credono in forza di una dimostrazione non avrà una conoscenza anteriore: perché è necessario credere maggiormente ai principi-o a tutti o ad alcuni- che alla conclusione.


 E chi vorrà possedere la scienza che procede mediante dimostrazione non soltanto deve rendere maggiormente noti i principi e credere maggiormente ad essi che a ciò che è dimostrato, ma nient'altro deve essere per lui più credibile è più noto che gli opposti dei Principi, dai quali procederà il sillogismo dell'errore contrario, se davvero chi conosce in senso assoluto deve essere inamovibile.


TESTO GRECO.




Ipse scripsit 6 ARISTOTELE Analitici sec.,l.I,cap.2.

Analitici Secondi,libro I,cap.2,71b,17-35;72a 1-14.


TESTO ITALIANO.

      Ebbene, se vi sia pure un altro modo (OLTRE LA DIMOSTRAZIONE)di conoscere, diremo in seguito, ma asseriamo anche che è un sapere mediante dimostrazione. 


Chiamo dimostrazione un sillogismo scientifico; e chiamo scientifico quello secondo il quale, per il fatto di possederlo abbiamo conoscenza.


 Se pertanto il conoscere è quale abbiamo posto, è necessario anche che la conoscenza apodittica proceda da cose vere,prime,immediate,più note,anteriori e cause della conclusione: perché in questo modo i principi saranno propri di ciò che si dimostra. 


Infatti, un sillogismo potrà esserci anche senza queste cose, ma una dimostrazione non potrà esserci, perché non si farà scienza. 


Dunque devono essere vere, poiché non è possibile conoscere ciò che non è: per esempio, che la diagonale del quadrato  e' commensurabile.



Il sillogismo deve procedere da cose prime anapodittiche, poiché altrimenti non le si conoscerà non avendone una dimostrazione, infatti il conoscere in modo non accidentale ciò di cui vi è dimostrazione, consiste nell'avere dimostrazione.



 E devono essere cause e più note e anteriori: cause perché e' quando abbiamo saputo la causa che conosciamo; anteriori, se è vero che sono cause precedentemente conosciute, non soltanto per il fatto di comprenderle nell'altro modo, ma anche per il fatto di conoscere che esistono.



 Sono anteriori e più note in due sensi: perché non è identica una cosa anteriore per la natura ed una cosa anteriore rispetto a noi, ne' lo è una cosa più nota ed una più nota per noi.



Chiamo anteriori e più note rispetto a noi le cose che sono più vicine alla sensazione, anteriori e più note in senso assoluto quelle che ne sono più distanti; e distanti al massimo grado sono le cose massimamente universali,e vicine al massimo grado le cose individuali; e queste si oppongono tra loro. 



Procede da cose prime ciò che procede da principi propri: infatti dico che sono la stessa cosa ' primo ' e ' principio'.




Principio è una proposizione immediata della dimostrazione, ed è immediata quella della quale non vi è un'altra proposizione anteriore.




Proposizione è l' una delle due parti dell' enunciazione, che predica una sola cosa di una sola cosa; proposizione dialettica quella che assume in pari modo una qualsiasi delle due parti; proposizione apodittica quella che assume determinatamente una delle due parti, poiché è vera. 


Enunciazione una qualsiasi delle due parti della contraddizione; contraddizione è un' antitesi della quale per se stessa non è possibile un intermedio; parte della contraddizione è, da un lato, l'affermazione circa qualcosa di qualcosa, dall'altro la negazione circa qualcosa da qualcosa.


TESTO GRECO.




Ipse scripsit 5 ARISTOTELE Analitici Sec.,libro I,cap 2.

ANALITICI SECONDI,LIBRO PRIMO,CAP.2  71b,rr 9-16.(TESTO ITALIANO E GRECO).



E' un passo fondamentale per conoscere il sillogismo scientifico,se solo si riuscisse a tradurre in modo chiaro le righe 13,14,15. 



Per questo saranno prodotte TRE traduzioni diverse e UN commento tratto da ed Laterza,nota 71 b,9-18.



PRIMA traduzione,righe 9-16.da( ed UTET.)

Crediamo di conoscere ogni cosa in senso assoluto-però non nella maniera sofistica,cioè in maniera accidentale- quando crediamo di conoscere la causa per la quale la cosa è(dal momento che di ogni cosa vi è una causa) e non può capitare che essa sia in altro modo. 

Pertanto è evidente che il conoscere è un alcunché di questo tipo.___ Si considerino, infatti, sia coloro che non conoscono che coloro che conoscono: i primi ritengono di stare essi stessi in questa condizione, mentre coloro che conoscono in più vi stanno.______ Di modo che, ciò di cui in senso assoluto vi è scienza, è impossibile che sia diversamente.




SECONDA versione ( ed Laterza,per righe 13,14,15.)


______Infatti tanto coloro che non conoscono scientificamente quanto coloro che conoscono, ritengono di essere in tale situazione, e i secondi vi sono davvero, così che è impossibile che ciò di cui si ha conoscenza scientificamente sia altrimenti.______






TERZA Versione (alla lettera del testo,per righe 13,14,15.)


______Infatti ,da una parte, coloro che non conoscono scientificamente(i non epistemologi) e  dall'altra,coloro che conoscono scientificamente(gli epistemologi),gli uni ritengono essi stessi così essere(che va così, eko+avv.),gli altri in quanto conoscono scientificamente(gli epistemologi) anche hanno ( conoscenza) ,cosicché della cosa di cui propriamente c'è scienza(epistemologia),questa è impossibile che vada diversamente(eko +avv.)._______





La nota dell'edizione Laterza 76b,9-16,non spiega il significato delle righe 13-15,almeno io non ho capito il senso di quelli che sanno scientificamente e quelli che non sanno scientificamente. Solo comunicando suggerimenti a me,sarò sicuro di aver capito il senso.Ho letto l'introduzione generale della UTET  che a pag.29 in nota92 riporta la traduzione di queste righe,ma anche lì niente spiegazione tra chi conosce e chi no....Aspetto suggerimenti per la mia ignoranza sulle righe 13-15 del testo aristotelico.Vedremo di capire qualcosa di più col sommario del capitolo secondo,di Analitici Secondi,libro primo,che proporremo dopo vari post con traduzione e testo greco delle parole di Aristotele.




lunedì 10 agosto 2015

Ipse scripsit 4 ARISTOTELE.Sommario Analitici Sec.l.I cap.1

Aiutiamoci a capire il primo capitolo di Analitici Secondi,libro primo,con il sommario fornito dal commentetatore della UTET(edizione rinvenuta nella biblioteca Nelson Mandela di Villanova d'Albenga).



     Si afferma la necessità che ogni insegnamento proceda da una conoscenza previa, richiamando il caso delle matematiche ,dei ragionamenti dialettici e degli argomenti retorici. 

Indi si precisa che la conoscenza che si deve presupporre è quella o dell'esistenza della cosa, o del significato del termine, o le due assieme.


Si chiarisce quindi che certe conoscenze, come per l'appunto quelle degli individui sussunti sotto gli universali, derivano sia da conoscenze precedenti che da quella acquisita nel momento di apprendere la cosa individuata( per cui non è tramite il termine medio che, in questi casi, si conosce l'estremo minore, vale a dire il soggetto): nel senso che quella conoscenza anteriore, dell'universale, non si possiede in maniera piena e appropriata in ordine all' individuo che ne è , nel caso, il soggetto, se non nel momento di riferirla ad esso.



In tal modo vale che, per un certo aspetto, se ne ha già previamente conoscenza, ma, per un altro, non se ne ha ancora.



 Su questa base si risolve la difficoltà presentata nel Menone di Platone ed utilizzata dai sofisti( non si può cercare ne'ciò che già si sa ,perché già lo si sa,  ne'ciò che non si sa,perché, non sapendolo,anche se lo si incontrasse non lo si saprebbe riconoscere): la distinzione precedentemente sviluppata tra il senso generico ed ampio della precognizione ed il senso proprio e peculiare del conoscere determinatamente la cosa, rende pienamente plausibile che quel che si apprende per un verso(quanto cioè alla precognizione generica)già si conosca,ma per un altro(quanto cioè al sapere in senso proprio ed assoluto)non sia previamente conosciuto:eliminando cosi',con la distinzione del riferimento,la pretesa contraddizione.



Speriamo sia un po' più chiaro,ma ho le mie cautele...Bisogna discuterne insieme e cercare altri commenti,per esempio quello di Mignuzzi per Laterza. Il fatto è che il testo di Aristotele è difficile....In Italia esistono solo due o tre traduzioni. 



Alla prossima con un passo decisivo per capire la logica aristotelica,passo pero',manco a dirlo, tradotto in maniera poco illuminante e non spiegato (nel suo punto chiave)da nessun commentatore di Aristotele.



Fine testo italiano e greco,con commento,di ANALITICI SECONDI,LIBRO PRIMO ,CAPITOLO I.


CONTINUANO ,CON TESTO GRECO E ITALIANO, I POST  SU ANALITICI SECONDI LIBRO PRIMO,CHE RIGUARDERANNO IL CAPITOLO II.